Mi scrisse più settimane e mesi sono il Padre Don Benedetto Castelli(431), haver più volte incontrato il Padre Rev.mo Maestro, e inteso dal medesimo come era per rimandare il proemio sopradetto, et il fine accomodato a sua intera sodisfazione; tutta via ciò non è mai seguito, nè io più ne sento muover parola: l'opera si sta in un cantone, la mia vita si consuma, et io la passo con travaglio continuo.
Per ciò venni ieri a Firenze, prima così comandato dal Ser.mo Padrone per vedere i disegni della facciata del Duomo(432), e poi per ricorrere alla sua benignità, acciò, sentendo lo stato di questo mio negozio, restasse servita, col consiglio di V. S. Ill.ma, di operar sì che al manco si venisse in chiaro dell'animo del Padre Rev.mo Maestro; e che quando così paresse a loro, V. S. Ill.ma, di ordine di S. A., scrivesse all'Ecc.mo S. Ambasciatore che si abboccasse col Padre Maestro, significandogli il desiderio di S. A. S. essere che questo negozio si terminasse, anco per sapere che qualità di huomo S. A. trattenga al suo servizio. Ma non solo non potetti abboccarmi con S. A., ma nè anco trattenermi alla vista de i disegni, trovandomi assai travagliato. E pure in questo punto è comparso qui un mandato di Corte per intender dello stato mio, il quale è tale che veramente non sarei uscito di letto se non era l'occasione e 'l desiderio di significare a V. S. Ill.ma questo mio negozio, con supplicarla che quello che non havevo potuto fare io ieri, mi facesse grazia di operare ella stessa, prendendo(433) il sopradetto ordine e procurando, con quei mezi che ella conoscerà meglio di me essere oportuni, di cavar resoluzione sopra questo affare, acciò ch'io ancora(434) possa in vita mia saper quello che habbia a seguire delle mie gravi e lunghe fatiche.
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