Anzi che in questi giorni sono andata fabbricando castelli in aria, pensando fra me medesima se, doppo questi due mesi di dilazione non si ottenendo la grazia, io havessi potuto ricorrere alla S.ra Ambasciatrice, acciò, col mezzo della cognata di S. S.tà(460), havessi ella procurato di impetrarla. So, come gli dico, che questi son disegni poco fondati; con tutto ciò non stimerei per impossibile che le preghiere di pietosa figliuola superassero il favore di gran personaggi. Mentre adunque mi ritrovo in questi pensieri, e veggo che V. S. nella sua lettera mi soggiugne che una delle cause che gli fanno desiderare il suo ritomo è per vedermi rallegrare di certo presente, o gli so dire che mi sono alterata da ver da vero, ma però di quella adirazione alla quale ci esorta il santo re David in quel salmo ove dice Irascimini e nolite peccare; perchè mi par quasi quasi che V. S. inclini a creder che più sia per rallegrarmi la vista del presente che di lei medesima: il che è tanto differente dal mio pensiero, quanto sono le tenebre dalla luce. Può esser che io non habbia inteso bene il senso delle sue parole, e per questo mi acqueto, chè altrimenti non so quel ch'io dicessi o facessi. Basta: V. S. vegga pure se può venirsene al suo tugurio, che non può star più così derelitto, e massimamente adesso che si approssima il tempo di riempier le botti, le quali, per gastigo del male che hanno commesso in lasciar guastare il vino, si sono tirate su nella loggia e quivi sfondate, per sentenza de i più periti bevitori di questo paese, i quali notano per difetto assai rilevante quella usanza che ha V. S. di non le far mai sfondare, e dicono che adesso non posson patire e non hanno il sole addosso.
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Ambasciatrice David Irascimini
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