Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 40. - Autografa.
Molt'Ill.re et Ecc.mo Sig.r e P.ron mio Col.mo
L'ultima lettera di V. S. Ecc.ma ha tagliato quel filo dal quale pendeva, benchè con debolissimo attacco, la speranza che ancor ancora havevo, che potesse essere che la necessità suprema le perdonasse così grave colpo, quale poi ha tocco per la perdita della sua figliuola. Conosco che V. S. ha giustissima cagione di dolersi; e se io volessi proibirgli in questo caso il dolore, mi parrebbe di far cosa empia et inumana, vietandogli quelli affetti che la natura ha in noi impressi per contrasegni della nostra humanità. Voglio ben solamente ricordarle che è vero che la natura ci ha dato gl'affetti, ma ci ha ancora dato il giudizio da moderarli, acciò, essendo immoderati, non ci fussero perniziosi; anzi in quelle persone nelle quali il lor debole natural discorso non fosse bastante a mitigar qualche loro affetto, come per esempio il dolore, ha fatto che il processo del tempo supplisca lui a tal difetto, e porti loro sollevamento. Ma chi ha più saggio discorso preoccupa il benefizio del tempo; e perciò a lei, singolarmente prudente e giudiziosa, tocca più che ad ogn'altro a far tale anticipazione, quale prego Iddio che voglia facilitargliela con mandarle da hora innanzi prosperi e lieti avvenimenti.
Questa qui alligata è la lettera che, in esecuzione del suo cenno, ho fatta al Bernechero(257), del quale non sapendo il nome non ho potuto porvelo. Se le paresse lunga, potrà scorciarla et acconciarla a modo suo.
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Iddio Bernechero
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