Questo dico per la compassione che tengo del povero buon vecchio S.r Galileo Galilei, al quale havendo voluto scrivere ultimamente, et richiestone l'aviso d'un amico di Firenze per sapere dove ei si ritrovasse, mi fu risposto ch'era confinato in una sua villa vicino ad un monasterio, dove gli era morta una figlia monacha, sua unica consolatione, et che gli erano prohibite le visite et corrispondenze degli amici, non che l'accesso della città et della propria casa; il che mi percosse il cuore et mi sforçò a lasciar uscire non poche lacrime da gli occhi, mentre andai considerando la vicissitudine delle cose humane, doppo haver havuto tanto honore et tanto avantaggio non comuni ad altri, la cui memoria è per durar tanti secoli. Io veggo che a pittori excellenti nell'arte loro si sonno condonati peccati gravissimi, et l'enormità de' quali era a sommo horrore, per non lasciare inutile il precedente merito; et tante inventioni, le più nobili che si fussero scoperte in tanti secoli, non potranno meritare l'indulgenza d'un scherzo problematico, dove egli non ha mai affirmativamente asserito esser suo proprio parere quello che non s'è voluto approvare?
Veramente sarà cosa trovata durissima per tutto, et maggiormente dalla posterità che dal secolo presente, dove pare che ogniuno lasci gli interessi del publico, et specialmente delli miseri, per attendere alli proprii. Et sarà appunto una macchia allo splendore et fama di questo Ponteficato, se V. Em.za non si risolve di prenderne ella qualche protettione et qualche particolar solecitudine, come ne la supplico et congiuro humilissimamente et co 'l maggior ardore et premura che mi possa esser lecita seco, et di condonarmi questa libertà forzi troppo grande: ma importa che tal volta sia lecito a suoi fedeli servitori di renderle questi officii della fedeltà loro, chè non credo che gli altri, che le sonno attorno, habbiano l'ardire di palesarle così li pensieri ch' hanno nel cuore et che toccano l' honore di V. Em.za molto più che non parrà forzi a molti.
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