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      Mi sarebbe stato grato che V. S. havesse veduto il mio Dialogo avanti la sua prohibizione, e particolarmente in quella parte dove vo esaminando l'artifizio del C. Chiaramonti(1009) nel riprovare gli astronomi che posero le nuove stelle superiori a i pianeti, dove, concorrendo con V. S., mostro l'inefficacia delle sue ragioni(1010). In tanto, per segno d'haver pur capito qualche cosa delle sottilissime specolazioni di V. S., voglio conferirgli certo mio discorso che gran tempo fa mi passò per fantasia, per provare che l'angolo del contatto sia detto così equivocamente, e che in somma non sia veramente angolo, convenendo in questo col Vieta(1011), le cui ragioni V. S. molto acutamente par che vadia redarguendo; sì che se mi mostrerà la fallacia della mia che mi par poco meno che concludente dimostrazione, bisognerà ch'io sia con lei.
      Stando dunque su la ricevuta definizione, che angolo sia l'inclinazione di due linee che si toccano in un punto e non son poste tra di loro per diritto, figuriamoci un poligono rettilineo et equilatero, inscritto nel cerchio: è manifesto, le inclinazioni o direzzioni de i suoi lati esser tante quanti(1012) gli stessi lati, se saranno di numero dispari, o vero quanto la metà, se il numero sarà pari (havendo gli opposti la medesima direzzione). Hora, se intenderemo a qual si sia linea retta segnata esser applicato un lato del detto poligono, questo con quella non formerà angolo, caminando amendue per la medesima direzzione; ma ben lo formerà il lato seguente, come quello che sopra la segnata retta si eleva et, inclinandosegli sopra, la tocca.


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Le opere di Galileo Galilei
Volume XVI. Carteggio 1634-1636
di Galileo Galilei
Barbera Firenze
1964-1965 pagine 744

   





Dialogo Chiaramonti Vieta