Ma il Padre sudetto, coll'accertarmi dell'infinita umanità di V. S., m'ha fatto sperare che non in vano havrò con tutto l'affe[tto] bramato ch'ella mi accetti per quel servidore che è obbligo di ciascuno, che è ragionevole, essere a i meriti di V. S.
Ho dal medesimo inteso con mio estremo dolore il male ch'ella patisce a un occhio, e prego N. S. per la intiera sua sanità; che troppo fuor di ragione è che sian travagliati da male alcuno quegli occhi, degni di stare aperti eternamente, a i quali è lo stesso cielo obbligato per esser da loro stato arricchito d'infinite stelle.
V. S. mi feliciti con comandarmi, che io frattanto, augurandole ogni desiderata grandezza, le bacio riverentemente le mani.
Di Genova, il dì 17 di Aprile 1637.
Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maS.r Galileo Galilei. Firenze.
Devotiss.o S.reDaniele Spinola.
3465*.
GALILEO ad ELIA DIODATI [in Parigi].
Arcetri, 24 aprile 1637.
Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 88t. - Copia di mano di VINCENZIO VIVIANI, il quale racchiuse tra parentesi quadre l'ultimo brano del presente capitolo da e massime a caccia, notando in margine: "si lasci". E invero questo stesso capitolo, ma senza l'ultimo brano indicato, si legge, di mano, pur del VIVIANI o di un suo amanuense, anche a car. 29t., 68t., 77r., 86r., 147t. del medesimo codice. A car. 68t. sono premesse dal VIVIANI al capitolo queste parole: "Il Galileo all'amico di Parigi .... [sic] tra le altre cose con sua lettera d'Arcetri de' 24 Aprile 1637 aggiugne:"; e indicazioni simili si leggono a car.
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