Hora qui potrà V. S. e l'amico suo maggiormente maravigliarsi di me, che, conoscendo e confessando l'error mio, pur vi vo perseverando. Tutta via spero d'impetrar perdono dalla loro benignità, e tanto più me lo prometto, quanto comprendo che gl'avvertimenti loro derivano dal desiderio di farmi cauto, acciò che io non incorra in quelli errori nei quali incorrono e sono incorsi tutti i più intelligenti mecanici, e l'istesso Archimede, massimo ingegno e sovrumano; il quale supponendo, come egli fa ne' suoi Equeponderanti e nella Quadratura mecanica della parabola, e come fanno tutti gl'ingegneri e architetti, supponendo, dico, che i gravi descendano per linee parallele, danno occasione di dubitare che gli sia stato ignoto come tali linee non sono altramente equidistanti, ma vanno a concorrere nel centro comune delle cose gravi. Da questa veramente falsa supposizione traggono origine, s'io non erro, le obbiezzioni fattemi dall'amico di V. S., le quali nell'avvicinarsi al centro della terra aqquistano tanta forza et energia, e tanto variano da quello che noi in superficie con errore, benchè leggiero, supponghiamo, che quelli che qua su noi chiamiamo piani orizontali, finalmente nel centro doventano linee perpendicolari, e di linee non inclinate degenerano in linee totalmente inclinate. Aggiungo di più, come V. S. e l'amico suo in breve potrà vedere dal mio libro che già stat sub praelo, che io argomento ex suppositione, figurandomi un moto verso un punto, il quale partendosi dalla quiete vadia accelerandosi, crescendo la sua velocità con la medesima proporzione con la quale cresce il tempo; e di questo tal moto io dimostro concludentemente molti accidenti: soggiungo poi, che se l'esperienza mostrasse che tali accidenti si ritrovassero verificarsi nel moto dei gravi naturalmente descendenti, potremmo senza errore affermare questo essere il moto medesimo che da me fu definito e s
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Archimede Equeponderanti Quadratura
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