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      E per tanto da queste e da altre condizioni, che si osservano in queste cose, inclino grandemente a pensare che la luce, sottilissima, velocissima, penetrantissima, operi, si sparga e si diffonda per spazii e tratti immensi con esquisitissimi modi; e di più direi che non possa mai intravenire che una delle minuzie della luce urti in due, tre o più delli altri corpuscoli, ancorchè minutissimi, della natura; e parimente penso che non sarà mai possibile ritrovare intervalli, per minimi che e' siano, per i quali non entri la luce, come quella che è assai più minuta di essi.
      Hora, se noi supporremo per vere tutte queste cose (intorno alle quali veramente non nego che siano grandissime e forsi inesplicabili difficoltà), mi pare che segua che data una di queste nostre superficie sensibili di questi nostri corpi sensibili, la quale fosse un aggregato di altri minutissimi filamenti, eretti per gran parte di loro alla volta della luce, sarebbe necessario, prima, che la luce entrasse per quelli spazii, ancorchè angustissimi; e ferendo nei lati o bande di quelli filamenti eretti, e dovendo riflettere con le regole inviolabili della riflessione, cioè ad angoli eguali a quelli delle incidenze, ne seguirebbe che pochissime e forsi talvolta nessuna potesse ritornare indietro verso quelle parti dalle quali viene quella luce: e in tal modo la luce verrebbe a rimanere come sepolta, per dir così, in quella superficie sensibile, quale poi ci si rappresentarebbe alli occhi nostri con pochissimo lume, e in tal modo verrebbe a renderci quell'apparenza che noi chiamiamo negrezza.


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Le opere di Galileo Galilei
Volume XVII. Carteggio 1637-1638
di Galileo Galilei
Barbera Firenze
1964-1965 pagine 584