Pisa, 8 febbraio 1640.
Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 109. - Autografa.
Molto Ill.re et Ecc.mo Sig.r e P.ron mio Col.mo
Io servirò sempre V. S. molto Ill.re et Ecc.ma in qualunque maniera ella vorrà comandarmi; però s'io ho errato circa quel greco e cantucci, la prego a scusarmi, e correggerò adesso l'errore con l'obbedirla puntualmente.
Vendon dunque qua il greco 32 soldi il fiasco di questa misura; e cinque soldi l'uno vendono i fiaschi. I quattro di V. S. sono alla giusta misura di qua. Tra porto e gabella ha 10 soldi per fiasco di spesa, che cinque di gabella e cinque di porto, prezzo fatto e trito. I cantucci fini vagliono una crazia l'uno, ma i soprafini vaglion tre crazie la coppia. Dicono di farne solamente per il Palazzo, o pure a posta per qualch'uno amico etc. Son maggiori, con più zucchero e più odore, dicono. A me veramente non mi ci par miglioranza che importi il prezzo: con tutto ciò mandai a V. S. i 40 de' soprafini, com'ella chiese. Di gabella pagano dieci crazie il cento: quattro crazie dunque importa la gabella, 4 il cestino e 4 il porto.
Dell'autore(337) che mi scrive V. S., io sono scandalizatissimo, stomacatissimo, come di persona ignorantissima, furba e maligna. Io l'havevo in concetto neutrale, non havendo mai letto nulla di suo; ma da poi che ho visto quel capitolo(338), corra pure il grido a voglia sua, sia pur predicato dall'universale per un oracolo, che a me pare risolutamente che si sia fatto con quelle poche carte un marchio indelebile di grandissimo asinaccio, ma insieme insieme, a parlar libero, di furbo.
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Palazzo
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