subito ricevuta la vostra del 28 dicembre, nella quale mi chiedevate notizie del mio ginocchio, vi scrissi; ma avendo indirizzata la lettera semplicemente al Gen. Garibaldi, Caprera, e non ricevendo finora una desideratissima riga di vostra cara mano, comincio a temere che non abbiate ricevuto la mia lettera! Ne sarei tanto più dolente, perché conteneva qualche schiarimento circa certe espressioni delle mie penultime righe, che, mi pareva, avevate male interpretato, non essendo voi abbastanza persuaso dell'affetto illimitato, che vi porto e che vi porterò sempre, da lontano come da vicino; perché quando vi dissi non poter mai esservi niente, era il solo sentimento del quanto poco sono degna di possedere il vostro affetto che parlava, giacché mi mancano tutte le qualità che vorreste trovare in una donna. Spero però che l'avvenire vi proverà tutta la sincerità delle proteste di affetto, d'ammirazione e potrei dire di culto, che ho per voi. Vi pregavo inoltre di non negarmi il carissimo nome, col quale mi faceste tanto felice nella vostra prima lettera; vi pregavo di chiamarmi «vostra Speranza», perché lo sono e lo voglio essere. L'idea che mi pensate capace di lasciarvi senza risposta mi tormenta più che lo possa esprimere; per ciò, avendo saputo dal capitano Dodero che dovete arrivare presto a Genova, non tardo a mandargli queste due parole per voi, le quali, spero, vi saranno sicuramente rimesse. Non ardisco di parlarvi più di me, non sapendo, quali progetti vi avranno chiamato a Genova, né che piani di altissimo interesse possano riempire la vostra mente; mi basta che sappiate che io sono con voi in ispirito e di tutto cuore, ovunque vi troviate e che non ho un'idea che non sia per voi!
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