Lasciai Roma l'11 novembre per giungere qui il 4 dicembre. Più presto non si poteva viaggiare umanamente e però ci vollero 24 giorni.
Le tempeste della stagione non mi favorirono; venendo da Sira a Creta (tragitto che col vapore si deve fare in 24 ore) restai sei giorni in mare con borea spaventevole; per fortuna l'Arcipelago offre molti porti di rifugio o porti naturali. Più serio delle tempeste avrebbe potuto riuscire per me un avvelenamento che mi accadde a Patras. Pochissimo mancò che passassi all'altra vita: ho potuto coll'aiuto di certi rimedi salvarmi, Dio permettendo, ma ho sofferto tutti gli spasimi del cholera. Basta e più che basta di me.
Immaginate con che stretta di cuore lessi l'infausta notizia della scelleratissima azione del 24 novembre. Non posso esprimere il dolore che mi ferì il cuore e mi trafisse l'anima perché mi pareva che io avrei dovuto e potuto impedire quell'atto atroce. Vi assicuro che nel momento in cui gli sbirri mi toglievano le carte, li avrei annientati! A Roma ebbi la certezza (almeno mi fu detto per certissimo) che queste povere vittime sarebbero state risparmiate alla morte crudele e precoce. Avrete forse maledetto la mia «maladresse» in quel momento critico, ma v'assicuro, amico mio, che mi era impossibile agire differentemente.
E che cosa vi dirò di questa povera popolazione cretese? Se avessi saputo di trovare le condizioni che vi sono, mai sarei venuta qui. L'esistenza fra tanti intrighi, tanta scelleraggine diplomatica, tante bugie da una parte e dall'altra, è insopportabile, dovrei dire impossibile.
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