E che non vengano qui gli uomini a dottrine che puzzano di sagristia e di ceppi a dottoreggiare, che non conviene agli operai (come si preconizza in Roma oggi) di trattare di politica.
Se io, povero mozzo, non m'inganno, politica significa affare dei molti - ed intendo i molti dover essere coloro che menan le braccia nella società quando ben costituita - ed i molti naturalmente interessati a sapere se la barca va negli scogli o a salvamento.
La gioventù Romana - operai od altro - deve quindi occuparsi di politica - e convincersi che il suo contegno calmo, dignitoso, ma energico nello stesso tempo nella insofferenza d'oltraggi od esigenza di diritti - il suo contegno, dico, deve servire di stella polare alle città sorelle, per ottenere un'Italia prospera e rispettata nel mondo.
Posta così a capo del progresso nazionale - e partecipando alla buona ed alla cattiva fortuna del resto della Penisola, la vecchia matrona - sarà impossibile esser la nostra bella patria trascinata indietro nell'anfiteatro del fanatismo e della tirannide.
Emancipata dall'idolatria, e spinta col suo culto del vero e della giustizia verso la fratellanza universale, Roma potrà salutar finalmente l'alba d'un terzo periodo intellettuale nell'immortale ed impareggiabile sua esistenza.
La nazione ha quindi il diritto di sperare nel buon andamento che il popolo dell'illustre Capitale saprà dare alla Vita Italiana.
Vecchio - e poco più atto, o nulla, all'azione materiale - devo limitarmi a consigliare i giovani che ponno utilizzare la mia esperienza.
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I Mille
di Giuseppe Garibaldi
Tipogr. Camilla e Bertolero 1874
pagine 356 |
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