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      CAPITOLO LIX.
     
      AMPLESSO DELLA MORTE.
     
      Sol chi non lascia ereditā d'affettiPoca gioia ha dell'urna, e se pur mira,
      Dopo l'esequie, errar vede il suo spiritoTra il compianto de' templi Acherontei,
      A ricovrarsi sotto le grandi aliDel perdono di Dio. E la sua polve
      Lascia alle ortiche di deserta gleba,
      Ove nč donna innamorata plori,
      Nč passeggier solingo oda il sospiroChe dal tumulo a noi manda natura.
      (FOSCOLO).
     
      Il gesuita, che forse, obbedendo allo spirito malvagio della setta a cui apparteneva, e che sembrava avere per meta di snaturare la natura umana, pervertirla, prostituirla, ingolfarla in ogni specie di culto del male e d'inimicizia del bene, il gesuita, dico, aveva cercato la sola soddisfazione della lussuria nella bellezza.
      Egli, forse pria d'ora, per uno scetticismo brutale ed indecente, aveva disprezzato le vezzose creature contaminate da lui, quando di loro padrone; oggi che le vedeva fuggite alle sue libidini di prete, ed in potere altrui, sentė in sč stesso l'uomo, e sentė quanta somma di tesoro avea perduto. Ogni sentimento allora di dovere di setta, di disprezzo, d'odio, sparė davanti al nobile senso dell'amore che avevano meritato le sventurate sue vittime.
      E fu amore selvaggio, il suo, amore, per cui egli avrebbe dato fuoco, non solo alla mina del ponte, ma alla mina dell'orbe s'egli ne avesse avuta la miccia alla mano! Amore! che, come abbiamo veduto, lo fece precipitare sotto la lama omicida del guerriero alpigiano, e da capo supremo d'un esercito, ridotto a vile prigioniero ferito d'una masnada ch'egli detestava pių della morte!


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I Mille
di Giuseppe Garibaldi
Tipogr. Camilla e Bertolero
1874 pagine 356

   





Acherontei Dio