Quivi rimasti un poco a prender fiato, io nel volgermi per rispondere al capitano Frescianti che mi chiedeva cartucce, vidi che il generale Garibaldi, distante un buon tratto dalla colonna garibaldina, s'avanzava solo a piedi contro l'inimico. Immediatamente mi slanciai verso di lui, e raggiuntolo, mi sovviene avergli indirizzato queste parole: Generale, perchè esporvi così? Una palla che vi colga siam perduti noi e con noi l'Italia nostra. Egli rispose col grido di avanti e roteando la sua spada ad incoraggiamento, invitava all'assalto le nostre colonne. Io avea appena pronunciate le suddette parole, che, volta la faccia al nemico, vidi che un cacciatore napoletano, avanzatosi verso di noi, spianava la sua carabina alla direzione del Generale. Ebbi appena tempo di fare un passo avanti, e un colpo terribile mi colse alla bocca, e mi stramazzò a terra col ventre in alto. Pareva che soffocassi, e nel mentre cercava di rivolgermi, il generale Garibaldi s'inchinò verso di me e mi indirizzò queste parole: Coraggio, mio Elia, di queste ferite non si muore. E stese la mano per istringere la mia». E difatti il bravo Elia non morì; rimase colà finchè la battaglia fu vinta dai garibaldini; poi, dopo mille stenti, fu portato a Vita col volto sì fattamente sformato, che il suo amico Dott. Ripari non lo conobbe; quivi gli fu estratta la palla, poscia fu curato a Palermo nella residenza del Generale, divenuto dittatore, indi, quando questi entrò nelle Calabrie, fu condotto a Bologna, ove guarì sotto la cura del ben noto Prof.
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I Mille
di Giuseppe Garibaldi
Tipogr. Camilla e Bertolero 1874
pagine 356 |
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