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      Affretta barcajuol; ritta alla poppa,
      Segna al più folto della pugna e chiedeDel capo! O Donna, non sei tu del bene
      La vera imago, ed il tiranno il maleNon rappresenta, che l'umana specie
      Affligge? Io chino bacerò la zollaDal tuo piede solcata ed il tuo santo
      Nome all'Italia consacrato sia!
      Per un momento, sì, fur rallegrateLe campagne Lombarde. A Morazzone,
      Cinta dovunque la sottil colonnaDe' vincitori di Luino, un cerchio
      Di fuoco li restrinse(67) ed obbligatiDi aprirsi il varco colla spada, il suolo
      Raggiunser poi dell'ospitale Elvezia.
      Sei ricaduta nel servaggio, o Donna,
      Un dì del Mondo e sempre educatriceDelle genti. I tuoi falli non scontati
      Sono tuttor; molli di tempra, imbelliSono forse i tuoi figli o non concordi?
      L'Austro ripiglia le ben note vieNell'aperto tuo seno. Alla Vinegia,
      Non doma ancor, a suo bell'agio inviaNumerose le schiere e la circonda.
      Morbo di Reggia(68) m'affastella e inutileDiviene il corpo. Nel perenne moto
      Del campo, io non sentiva il distruttivoMalore; ma l'inerzia ed il cordoglio
      D'una caduta patria a soggiacereM'impone. Allor le stanche ed ammorbate
      Membra trascino, dagli alpestri montiAlle belle del Varo inospitali
      Sponde(69). Ma Nizza all'imperante additaLa mal intesa prepotenza e varco.
      Reduce, tra i miei cari, io mi ritempro,
      Ma non m'acqueto. Alla soggetta Italia
      Come può uno non pensar? V'è forseAltro da fare nella vita, quando
      La patria è schiava, che cercar il modoDi liberarla e preparare un ferro
      Per sterminar i suoi tiranni?
      TaccioDi stoltizie narrar con cui la nera


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Carme alla Morte
Poema autobiografico
di Giuseppe Garibaldi
Zanichelli Bologna
1911 pagine 105

   





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