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      Guardo d'attorno. E sotto le frementiZampe del mio corsier non è un dei sette
      Colli calpesto? Io non giurai tant'anniDi servir questa schiava e liberarla,
      O seppellirmi tra le sue rovine?
      Che bella morte! Ed io sorrisi comeAll'apparir d'una fanciulla amata.
      Non era morte, ché ben altre ancoraDovea miserie sopportar, ed altro
      Piombo solcare queste membra, ad altraMano affidato colla stessa impronta!
      Sì! sul finire dell'April pugnammoCome si pugna per la patria, e l'inno
      Della vittoria rallegrò le anticheDell'Eterna contrade ed i protervi
      Masnadier d'un tiranno alle calcagnaLa salvezza affidâr, e nuovi inganni
      A meditar sulle lor navi e nuoveSchiere aspettar. La libertà Romana
      A chi la Franca libertà distruggerVoleva era molesta, e con menzogne
      Invïava i suoi bravi a risaldareLe Italiche catene e la Tïara,
      Pestilenza del Mondo, agli insoffrentiImpor col ferro. Ei ben sapea, l'infame,
      Alle liberticide arti il chercumePiù d'ogni altro propenso, e sull'ignaro
      Miserabile popolo, il fallaceOnnipotente. Con quel serpe a mano,
      Facil divenne il soggiogar l'incautoFranco, e comprar da servi Moderati
      La mia povera Nizza.
      Infin pugnammoPer Roma e per l'Italia! I sarcofàghi
      Che di donni del Mondo le reliquieSerban, di polve non indegna aspersi
      Furon, e l'ossa de' guerrier cadutiL'ossa de' padri non macchiâr, per Dio!
      Molto il valor, ma la viltade moltaTra questa gente d'una razza stessa,
      Anche una volta la fatal ancellaProstituïrono all'estraneo. Io vidi
      Fatti da Fabio o Lëonìda, e turpiMercati ed inudite codardìe!


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Carme alla Morte
Poema autobiografico
di Giuseppe Garibaldi
Zanichelli Bologna
1911 pagine 105

   





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