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      Ubertose costiere i suoi mïasmiAccumulando, gli abitanti uccide
      O ne deturpa della vita il nerbo(126).
      Ivi gl'immensi milïoni ad opraSalvatrice sarian, e non nel vano
      Mantener d'oste numerosa, e pinguiCamaleonti inutil non soltanto,
      Ma perniciosi corruttori e pesteDell'umana famiglia. Intanto il mesto
      Sardo trascina, egro, ignorato, immondo.
      Che importa! Il grande dignitario sciala.
      Basta d'affanni e di rancori. Un'astaImpugnam, ma di vanga. Il dorso a' Regi
      Poco pieghevol, ben si piega al santoDella terra lavoro, e se il sudato
      Alla famiglia pan basta, che importaSe popolato di tiranni e schiavi
      Mai sempre è il mondo? Così non fu sempre?
      Chi se 'l soffre se 'l merta! Alla catenaChi piega il collo, dopo la catena
      Avrà il bastone. E che mai serve il malePugnar tutta la vita e de' soffrenti
      La causa propugnar? Quando alla metaArrampicar sembrommi e nella destra
      Stringerla, indietro mi voltai: la patriaChe Dio mi diede allo stranier venduta
      Vidi, e da Grande il truffator fregiarsi!
      Più tardi, un sciame di liberti al Prence
      Dicea: «Da voi noi libertade avemmo,
      E libertade da voi sol vogliamo»(127).
      Come se Prence e Libertade un soloPrincipio fosse!... Vanga! Vanga! Vanga!
      E cerca d'oblïar tante stoltizieDell'umana famiglia. Oh! se il Leteo
      Fosse quest'onda che ti accerchia, o fosseTra il Continente e te l'ampio Oceàno
      Vanga! e ti acqueta, agricoltor. La viaDa percorrer è lunga, ma ad usura
      La fatica avrai paga. A quei tiranni,
      Che la tua patria conculcâr, mercedeDaran gli eventi. La fatal birraglia
      Che i tuoi compagni assassinò a' piedi


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Carme alla Morte
Poema autobiografico
di Giuseppe Garibaldi
Zanichelli Bologna
1911 pagine 105

   





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