Popol, che per disgrazia delle genti
Č grande, e soffre nel servaggio, e premeSopra i destini dell'Europa immensa,
Sol di miseria e vanitą satollo.
Dio diede l'uomo all'uom come flagelloSu questa terra sciagurata, e gli uni
Ordin, moderazion, leggi si chiamano,
Gli altri Religļon millantan, l'opreMagnificando dell'Eterno, e tutti
Scaturiron d'Inferno e peggior fecciaSon della peste che desola il Mondo!
Posa redenta, accanto alla gentileMia genitrice, o Anita, e ben rammenti
Quel d'angiolo sorriso e la soaveDi lei favella incantatrice, e il dolce
Che t'accoglieva amplesso, allorché stancaDel lungo andar presso l'amata Madre
Riedevi, e intorno i festeggianti allegriTuoi pargoletti. Le passate angoscie
Si cancellavan dal tuo cuore, e immersoIo nell'ebbrezza degli affetti, il pondo
Dimenticavo degli affanni e tuttaCome di cielo m'apparia la terra!
Stolte lusinghe del Creato, il fieleDella Natura č non lontano. I pravi
Regolatori dell'umano il germeCovavan della morte, ove sģ bella
Risplendeva la vita! - I frantumiA pena io m'ebbi del bel corpo, e invano
Ragranellaine le reliquie! Il capoNon poserņ sulla natia mia terra
Che racchiude i miei cari! Alle remoteLande, non schiave, affiderņ quest'ossa!
Vaga lontano, avventurier, le spondeNon varcherai del Rubicone. I Regi
Te 'l vietan, consci che di libertadeFerve l'anima tua. Un simulacro
Voglion di quella ad abbagliar le plebiE a te non fidan. La fatal scintilla
Tüa incendiar puņ il Mondo, ed i tarlatiScettri, cospersi di brutture, infranti
Sarian dal fiero cataclisma avvolti.
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Carme alla Morte
Poema autobiografico
di Giuseppe Garibaldi
Zanichelli Bologna 1911
pagine 105 |
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