I pochi arditiDalle pugne scampati, alle foreste
Son rintracciati come belve, e infaustoIl sol d'Italia ridiventa e tetro.
Ma chi son quei, che dal Ligure lidoSalpan fidenti a rilevar i vinti
Ma non domi fratelli? I fulminantiBronzi e non conti battaglioni han forse
Per sfidar l'oste numerosa ed ebbraDa recenti vittorie e più dal ricco
Facil bottin, che sulla sventurataAmmassò, gente inoffensiva e inerme?
Perché non basta allo sfrenato, atroceDespota sparger del guerrier il sangue:
Ei vuol puniti i consanguinei tuttiE i conterranei. E se potesse, il truce,
Punir la terra, che portò il protervoDisturbatore de' suoi sonni, oh! certo
A sconquassarla lo vedremmo e lietoSignoreggiar il cataclisma e il fine
Della razza perversa! Ma di schiaviSi abbisogna e di terra! E che farian
I satrapi odïerni, ove di serviL'umana stirpe difettasse e il bue
Come la forza avesse mente ed occhio?
No! non han oste, i coraggiosi, e bronziNon hanno. Un grido di sventura a loro
Giunse di schiavi battagliando, e sgherriSulla sicula terra e non curando
Se son molti i nemici. Essi son mille,
Ma batte in lor de' milioni il cuoreE la santa d'Italia redenzione.
Ove son lor i Mille intemerati,
O Morte? Imbiancan le colline, l'ossa,
E le pianure dal Volturno all'Etna,
De' superbi Argonauti. Essi giuraronDi vincere o morir ed il gran giuro
Attenner. Pria che d'altri mille il fatoA libertà redenti abbia altri schiavi
Sta l'immortal colonna non erettaDa scalpello servil, non di metallo.
Esso serve ai potenti, ma nel cuoreDi chi la patria dignitade onora.
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Carme alla Morte
Poema autobiografico
di Giuseppe Garibaldi
Zanichelli Bologna 1911
pagine 105 |
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