Furon trecento gli Spartani e pariDi Roma i Fabi, che da te raccolti
In olocausto della patria loro,
Morte immortale! alle venture gentiDesti esempio sublime. E son da meno
Di Sarmazia i trecento? Il bronzo invanoMacella i giovinetti; essi han giurato
Di salvare i congiunti(161) o di morireEppur distrutta dal tiranno, invitta
Polonia sei. Che vai delle Nazioni
La pietà? Il santo tuo diritto? A morteTu sei dannata da' Governi; osasti
I lor sonni turbar. I coccodrilliPiangon sulla tua bara e tu non sei
Che l'avanguardia de' sepolti; l'ontaNe cadrà sugli inerti e piangeranno
L'abbandono nefando, allorché il piedeSulla cervice sentiran gl'incauti.
Salve! o gran Madre, non matrigna! AccogliDe' tuoi figli le turbe ed io fra loro
Cercherò presto, nel tuo grembo, posaAlle stanche mie membra. Una sol prece
Porger vorria all'immortale e giustoTuo tribunale: - Non mischiar de' vili
La codarda progenie ai valorosi,
Orgoglio del creato, ai non curantiDelle sozze ricchezze e della vita
Per l'altrui bene, sprezzatori, eroi! –
Un dì sognai: di catafratti e fieriGuerrier l'assalto con imberbi e pochi,
Non d'armature ricoperti e tersiDell'assisa del servo, immaculati
Campioni del pensier. Sul de' Romani
Monte del pianto(162) la superba schieraFacea vero il mio sogno. Io, circondato
Da quel pugno di prodi, che l'Italia
Rifecer bella; adamantina siepeRicopriva il mio fral dei loro petti,(163)
Vidi fuggir le vario-pinte e folteCoorti del tiranno! Avea la pugna
Segnato il varco de' morenti. Un d'essiColla mano accennommi.
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Carme alla Morte
Poema autobiografico
di Giuseppe Garibaldi
Zanichelli Bologna 1911
pagine 105 |
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