L'onnipotenza ei ben conosce, e invanoSi travagliavan Beccaria e i tanti
Propugnatori della vita. Il palcoNo! non cadrà, finché non cada infranto
Dell'ultimo tiranno il catafalco;
Più della morte, ei l'agonia conosceDe' suoi lunghi giudizi, e l'apparato
Con cui circonda la tremenda, e il fastoDe' suoi supplizi, e le piumate ciurme
Imponenti agl'ignavi, e la sfrenataDe' satelliti suoi boria insultante!
Canto alla Morte! e se non posso ad altroPiù lieto canto conformarmi, Italia,
Non è mia colpa! Alle vergogne tueMirar non posso ilare. E le festanti
Tue turbe schiave se disprezzo, i donniPur non pavento, ché de' loro sgherri
Vidi le spalle in più d'un campo, e sentoChe come nubi volerian le ignave
Proterve lor masnade a un sol ruggitoConcorde. E che m'importa il tuo bel cielo
E le ricche tue messi, e il paradisoDe' tuoi colli fioriti e le superbe
Tue vergini vezzose, allo stranieroSe son dannate Arëopago eunuco?
Se tu consenti chi vendè la cullaDi chi la vita ti sacrava intera
E che stranier lo fece su di questaSua terra idolatrata?
Ai tuoi defuntiLasciami dunque. Io canterò i viventi
Schiavi, allorché lavate avranno l'onte.
Vago sui campi di Varese in mezzoDe' miei caduti con orgoglio, e al mondo
Io ricordo Cairoli, il giovinettoFiglio di tanta Madre e precursore
Primier di tanti eroi, che dagli alpestriColli al Vesuvio seminaron l'ossa
Per farti bella di vittorie taliSui tuoi tiranni da uguagliare i tempi
Ove regina dominavi il Mondo!
De Cristoforis tüo intemeratoLascia ch'io ti rammenti. Ed hai tu forse
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Carme alla Morte
Poema autobiografico
di Giuseppe Garibaldi
Zanichelli Bologna 1911
pagine 105 |
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