Del mercenario, e non curò se l'almaDi quel venduto servo, unta di fango,
Era d'amor capace. Intanto, all'ontaEd al disprezzo è condannata!... lei!
Che fu la stella di mia vita, il dolceMio paradiso sulla terra! Ed ora
Che resta? A me che importa degli umani?
Solo al rifugio della Morte anelo.
(FRAMMENTO).
Perché l'altera tua cervice crolli,
E con disprezzo mi contempli, o figlioDel privilegio? Oh! se fortuna un trono
Ti prescelse per culla e a me lo strameDi modesto abituro, un dì le aduste
I tuoi simíli contemplâr fattezzeDel non ricco plebeo infra gli arazzi
De' superbi palagi, e genuflessiImploraron mercede. I lisci marmi
Del mio corsier portan l'impronta, e i ricchiDel mio rozzo calzar mostran tappeti
Le non terse pedate. Il simulacro,
Che ti distingue di grandezza, altruiFu pregio, e pregio che tra gli odïerni
Merto sarebbe di capestro e pegnoDi vituperio. Le non tue prodezze
A che millanti, se sul vil servo i tuoiCapricci scendon smisurati? È forse
La tua da lui diversa creta? e forseAllor che un mucchio di macerie, i fasti
Confonde e le sventure, il tuo schelétroSarà distinto dal tapino? O Morte,
Tu vera Dea della giustizia, salve!
AD UN AGNELLOLEGATO ALLA PRORA DI UNA NAVE.
Ov'è tua madre, o miseroAddolorato agnello?
Ove il tuo verde pascoloE il limpido ruscello,
L'ombra dell'olmo anticoEd il belar amico
Del tuo compagno agnel?
Solo! da fune avvoltoLà nella prora implori
Chi libertà t'ha tolto,
Chi ti vuol spento e plori.
Ah! non udrà il tuo piantoColei che amò cotanto
Il suo perduto agnel.
L'anima mia che lacera
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Carme alla Morte
Poema autobiografico
di Giuseppe Garibaldi
Zanichelli Bologna 1911
pagine 105 |
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Morte Morte Dea
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