Alcune vele di barche pescherecce rientravano nel porto, scivolando sul blù disteso del mare, come piume di cigni, spinte dalla brezza, ed addimostravano l'attività umana sulla maestosa solitudine delle acque.
Dopo qualche giro di ruota, Castel Sant'Elmo ed il convento di San Martino si disegnarono distinti alla sommità della montagna alle cui falde Napoli s'aggruppa; al di sopra delle cupole delle chiese, delle terrazze degli alberghi, del verde dei giardini, dei tetti delle case e delle facciate dei palazzi tuttora vagamente sfumati in un vapor luminoso.
Ben presto il Castel dell'Ovo, accoccolato sopra uno scoglio battuto dalla schiuma, parve avanzarsi verso il vapore ed il molo col suo faro s'allungò come un braccio tendente una fiaccola.
All'estremità della baja, il Vesuvio, più avvicinato, cambiò le tinte azzurre di cui la lontananza lo rivestiva, in toni più vigorosi e più solidi: i suoi fianchi si solcarono di strisce e di scoli di lave raffreddate; e dal suo cratere rotto, come dai buchi d'un braciere, uscirono, chiaramente visibili, dei piccoli buffi di fumo bianco che il più piccolo soffio di vento faceva tremare.
Già si distingueva chiaro il Chiatamone, Pizzo Falcone, la passeggiata di Santa Lucia, tutta fiancheggiata d'alberghi, il Palazzo Reale colle sue file di finestre, il Palazzo Nuovo, l'Arsenale, e i bastimenti di tutte le nazioni del mondo mischianti i loro alberi come piante d'un bosco spogliato di foglie; allorchè uscì dalla sua cabina un passeggiero che non s'era veduto in tutta quanta la traversata, o perchè il mal di mare l'avesse rattenuto, o perchè non avesse voluto mischiarsi agli altri passeggeri per misantropia o, infine, perchè questo spettacolo, nuovo pei più, gli fosse da tempo famigliare e nessun interesse più gli offrisse.
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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano 1910
pagine 113 |
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