Il viaggiatore, avendo chiamato il padrone dell'albergo, gli chiese se non fosse stata indirizzata quivi una lettera a Paolo d'Aspromonte, l'oste rispose che infatti una lettera con questo indirizzo aspettava da una settimana nel cassetto delle corrispondenze e si affrettò d'andarla a prendere.
La lettera, chiusa in una spessa busta di color creamlead variegato di azzurro, fermata con un sigillo elegante, era scritta con quel carattere pendente, che denota un'alta educazione aristocratica e che, forse un po' troppo uniformente, posseggono le giovani Inglesi di buona famiglia.
Ecco che cosa conteneva la lettera, aperta dal signor d'Aspromonte con una fretta che non aveva forse per motivo la sola curiosità:
«Mio caro signor Paolo,»
«Siamo arrivati a Napoli da due mesi. Durante il viaggio fatto a piccole giornate, mio zio s'è lamentato amaramente del caldo, delle zanzare, del vino, del burro, dei letti: egli giurava che bisogna esser matti addirittura per lasciare una comodissima palazzina posta a poche miglia da Londra e per trascinarsi su strade polverose e ornate d'alberghi detestabili in cui onesti cani inglesi non vorrebbero passar una notte: ma ancorchè brontolando, egli mi accompagnava e l'avrei così potuto portare in capo al mondo: egli non sta peggio per questo e quanto a me, io sto meglio. Abbiam fatto il nido sulla riva del mare, in una casa dall'intonaco di bianca calce e nascosta in una specie di foresta vergine di aranci, di limoni, di mirti, d'allori e d'altre vegetazioni esotiche.
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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano 1910
pagine 113 |
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