Questa terrazza che aveva sedotto particolarmente la giovane miss era infatti infinitamente pittoresca e merita una particolar descrizione, dacchè Paolo d'Aspromonte ci verrà spesso ed è pur necessario dipinger le quinte delle scene che si raccontano.
Si saliva a questa terrazza, di cui la facciata a picco dominava una strada fantastica, per mezzo d'una scala dalle larghe lastre disunite donde nascevano vivaci erbe selvatiche.
Quattro colonne consumate, tolte da qualche rovina antica e i cui capitelli perduti erano stati rimpiazzati da dadi di pietra, sostenevano un pergolato da cui pendeva una vigna.
Dai parapetti cadevano in nappe e ghirlande i lambruschi e le parietarie.
Al piede dei muri, i fichi d'India, gli aloe e i corbezzoli crescevano in un graziosissimo disordine; e al di là d'un bosco, di sopra al quale s'inalzavano una palma e tre pini d'Italia, la vista stendendosi sopra un terreno ondulato, sparso di ville, si fermava alla violacea montagna del Vesuvio, o si perdeva nell'azzurra immensità del mare.
Appena Paolo d'Aspromonte comparve sulla sommità della scala, Alicia si alzò, gettò un piccolo grido di gioja e fece qualche passo incontro a lui.
Paolo le prese la mano chiudendola forte; ma la giovane alzò questa mano prigioniera alle labbra del suo amico con un atto pieno di gentilezza infantile e d'ingenua civetteria.
Il commodoro tentò alzarsi sulle sue gambe un po' gottose e ci arrivò dopo qualche smorfia di dolore che contrastava comicamente coll'aria di giubilo sparsa sulla sua larga faccia: egli s'avvicinò con passo abbastanza svelto per lui al gruppo dei due giovani e serrò la mano di Paolo in guisa da frantumargli le dita; ciò che è la suprema espressione della vecchia cordialità britannica.
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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano 1910
pagine 113 |
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