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      Cullato da queste immagini ridenti, Paolo s'addormentò e non si ridestò che all'alba.
      Napoli cominciava già il suo rumorìo: i venditori d'acqua ghiacciata vendevano gridando a voce alta la loro merce; i rosticciai tendevano ai passeggieri le loro vivande infilate in una pertica; curve sulle finestre le donne di casa più pigre calavano, per mezzo d'una cordicella, i panieri per le provvisioni, rialzandoli poi pieni di pomodori, di pesci e di grandi pezzi di zucche.
      Gli scrivani pubblici, in abito nero consunto dal tempo, colla penna dietro l'orecchio, si sedevano ai loro scanni; i cambiavalute disponevano in pile, sulle piccole tavole, i diversi generi di monete; i vetturini facevano galoppare le loro rozze in cerca degli avventori del mattino e le campane di tutti i campanili cantavano giojosamente l'Angelus.
      Il nostro viaggiatore, avvolto nella sua veste da camera s’appoggiò alla finestra: si distingueva di là Santa Lucia, il Castel dell'Ovo, e una grande distesa di mare fino al Vesuvio e all'azzurro promontorio sui cui biancheggiavano i villini di Castellammare e, più lontano, quasi punti, le ville di Sorrento.
      Il cielo era puro; soltanto una leggera e bianca nuvola s'avanzava sulla città, spinta da una brezza dolcissima.
      Paolo fissò sulla nuvola quello strano sguardo che noi abbiam già notato; i suoi sopracigli s'aggrottarono.
      Subito altri vapori si unirono a quell'unica nube e ben presto una spessa cortina di nuvole stese le sue pieghe sul castello di Sant'Elmo.
      Larghe gocciole caddero, e ben presto si cambiarono in uno di quei diluvii che fanno delle strade di Napoli altrettanti torrenti e trascinano nelle chiaviche i cani e persino gli asini.


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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano
1910 pagine 113

   





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