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      La sola critica che un gusto meticoloso avesse potuto formolar contro il conte era: ch'egli era troppo bello.
      Quanto ai suoi vestiti, Altavilla li faceva venir da Londra e il dandy il più severo avrebbe approvato il suo figurino.
      C'era d'italiano, in tutto il suo abbigliamento, nient'altro che dei bottoni da camicia d'un prezzo troppo grande. Là, il gusto ben naturale del figlio del Mezzogiorno si tradiva.
      Forse, così, in altro luogo che non fosse stato Napoli, si sarebbe stimato d'un gusto mediocre il fascio di rami di corallo biforcuto, di mani di lava dalle dita ripiegate o imbrandenti un pugnale, di cani allungati sulle zampe, di corni bianchi e neri e di altri piccoli oggetti simili, attaccati per mezzo d'un anello alla catena del suo orologio; ma un giro fatto in via Toledo o alla Villa Reale sarebbe bastato per dimostrare che il conte non aveva nulla d'eccentrico portando questi giojelli eccentrici al suo panciotto.
      Allorchè Paolo comparve, il conte per le insistenti preghiere di Alicia, cantava una di quelle deliziose melodie napoletane senza nome d'autore, una sola delle quali raccolta da un artista, basterebbe a far la fortuna d'un'opera.
      A chi non le ha intese, sulla riva di Chiaja o sul molo, dalla bocca d'un lazzarone o d'un pescatore, le care romanze del Gordigiani ne potrebbero dare una idea.
      Esse son fatte d'un sospiro della brezza, d'un raggio di luna, d'un profumo d'arancio e d'un palpito di cuore.
      Alicia, colla sua gentil voce inglese un po' falsa, seguiva il motivo che voleva imparare, ed ella fece, continuando, un piccolo saluto amichevole a Paolo, che la guardava con un'aria poco amabile, urtato com'era della presenza di quel bel giovane.


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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano
1910 pagine 113

   





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