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      I raggi luminosi cadenti dall'alto, disegnavano, con dei giuochi di ombra e di luce infinitamente pittoreschi, un gruppo di figure caratteristiche riunite intorno alla spessa tavola di legno, tutta tagliuzzata e solcata dai colpi del coltello pel lardo, tavola che occupava il bel mezzo di questa gran sala le cui pareti, pel fumo delle preparazioni culinarie, erano rivestite di quel bitume così caro ai pittori della scuola del Caravaggio.
      Certo, nè lo Spagnoletto, nè Salvator Rosa, nel lor robusto amore del vero, avrebbero sdegnato i modelli radunati là dentro dal caso o, per parlare più esattamente, dall'abitudine di tutte le sere.
      C'era, prima di tutto, il capo, Virgilio Falsacappa, personaggio importantissimo, d'una statura colossale e d'una formidabile pinguedine, che avrebbe potuto passare per un convitato di Vitellio se, invece di una veste di basino bianco, egli avesse portata una toga romana ornata di porpora: i suoi lineamenti fortemente accentuati disegnavano quasi una specie di caricatura seria di certe medaglie antiche; spessi sopracigli neri sporgenti d'un mezzo pollice, coronavano i suoi occhi, tagliati come quelli delle maschere di teatro; un enorme naso gettava la sua ombra sopra una bocca larga che sembrava fornita di tre ordini di denti come quella del pescecane.
      Una gorgiera potente simile a quella del toro Farnese univa il mento, tagliato da una fossetta in cui ci sarebbe stato un pugno, ad un collo d'un vigore atletico, tutto solcato da vene e da muscoli.
      Due boschi di favoriti ognun dei quali avrebbe potuto costituire una barba discreta per un zappatore, inquadravano questa larga faccia marezzata di toni violenti; dei capelli neri tagliati e lucenti, fra cui si mescolava qualche filo d'argento, si attortigliavano sul suo cranio in piccole ciocche corte, e la sua nuca, ripiegata in tre enfiagioni trasversali cadeva fuori del colletto del suo vestito; ai lobi delle sue orecchie, rivelati dalle apofisi delle mascelle capaci di macinare un bue in una giornata, brillavano delle buccole d'argento grandi come il disco della luna; tale era mastro Virgilio Falsacappa che, col grembiule rivoltato sull'anca e il coltello infilato in una guaina di legno, rassomigliava piuttosto a un vittimario che ad un cuoco.


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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano
1910 pagine 113

   





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