Certo, dei vagheggini avrebbero disprezzato queste povere creature che, pure di mistura, conservavano ancora il sangue delle belle razze greche; ma qualunque artista al loro aspetto avrebbe tirato fuori il suo album di schizzi e temperato il lapis.
Avete visto nella galleria del maresciallo Soult quel quadro del Murillo, in cui gli angeli fan cucina?
Se l'avete visto, ciò ci dispenserà di ritrarre qui le teste di tre o quattro sguatteri dai capelli ricciuti, che completano il gruppo.
Il conciliabolo trattava una grave questione. Si trattava del signor Paolo d'Aspromonte, il viaggiatore francese giunto coll'ultimo vapore: la cucina giudicava l'appartamento.
Aveva la parola Timberio il facchino; egli faceva delle pause, come un attore in voga, per lasciare al suo uditorio il tempo di coglierne tutta l'importanza, di dare il proprio assentimento o di sollevare delle obbiezioni.
- Seguite bene il mio ragionamento, diceva l'oratore; il Leopoldo è un vapore onesto sul quale non ci sarebbe niente da dire, s'egli non trasportasse troppi eretici inglesi...
- Gli eretici inglesi pagano bene, interruppe Scazziga, reso più tollerante dalle mance.
- Senza dubbio: il meno che possa fare un eretico allorchè fa lavorare un cristiano, è di ricompensarlo generosamente, onde diminuirne l'umiliazione.
- Io non sono umiliato per niente nel condurre un forestiero nella mia carrozza: io non fo come te un mestiere da bestia da soma, Timberio.
- Forse che io non son battezzato quanto te? replicò il facchino corrugando le sopraciglia e chiudendo i pugni.
| |
Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano 1910
pagine 113 |
|
|
Soult Murillo Paolo Aspromonte Timberio Leopoldo Scazziga Timberio
|