- Lasciate parlare Timberio, gridò in coro l'assemblea, che temeva veder volgere in disputa una così importante dissertazione.
- M'accorderete, riprese l'oratore calmato, ch'era un tempo magnifico allorchè il Leopoldo entrò in porto?
- Accordato, Timberio; fece il capo con una maestà condiscendente.
- Il mare era unito come uno specchio, continuò il facchino, e nonostante un'enorme ondata scosse così bruscamente la barca di Gennaro ch'egli cadde in mare con due o tre compagni. È naturale questo? E sì che Gennaro è un marinajo finito; egli ballerebbe la tarantella su una verga senza barcollare!
- Forse aveva bevuto un fiasco d'asprino di troppo; obbiettò Scazziga, il razionalista dell'assemblea.
- Nemmeno un bicchiere di limonata, seguitò Timberio; ma c'era a bordo del vapore un signore che lo guardava in un certo modo... mi capite!
- Oh, perfettamente, rispose il coro allungando con un insieme ammirabile l'indice e il mignolo.
- E questo signore, disse Timberio, non era altri che il signor Paolo d'Aspromonte.
- Quello che sta al numero 3, chiese il capo, e al quale ho mandato il pranzo su un piatto?
- Precisamente, rispose la più giovane e la più bella delle serve; io non ho mai visto un viaggiatore più selvatico, più spiacevole e più sdegnoso: egli non mi ha rivolto nè uno sguardo, nè una parola: eppure io valgo bene un complimento, al dire di questi signori.
- Voi valete di più, Gelsomina, bella mia, disse galantemente Timberio; ma è una fortuna per voi che questo straniero non vi abbia fatto osservazione.
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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano 1910
pagine 113 |
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