La giovane faceva degli sforzi vani per tirar sulla sabbia il corpo che il mare avrebbe voluto riprendere e chiedeva a Vincenza un ajuto che questa le rifiutava ridendo d'un riso feroce; le braccia d'Alicia si stancavano e Paolo ricadeva nell'acqua.
Queste fantasmagorie confusamente spaventevoli, vagamente orribili ed altre ancora più inafferrabili, che ricordavano i fantasmi informi sbucati nell'ombra opaca delle acque tinte di Goya, torturarono il giovane fino ai primi splendori del giorno; la sua anima, libera per la immobilità del corpo, sembrava indovinare ciò che il suo pensiero desto non poteva comprendere e si sforzava di tradurre i proprii presentimenti in immagini nella camera oscura del sogno.
Paolo si alzò affranto, inquieto, come messo sulla traccia d'una infelicità nascosta da quegli incubi di cui egli aveva paura di svelar il mistero; egli girava intorno al fatal segreto, chiudendo gli occhi per non vedere e gli orecchi per non intendere; mai non era stato così triste: egli dubitava di Alicia stessa: l'aria di fatuità felice del conte Napoletano, la compiacenza colla quale la giovane l'ascoltava, la faccia approvante del commodoro, tutto ciò gli tornava alla mente rinfrescato di mille crudeli dettagli, gli immergeva il cuore in una grande amarezza e accresceva sempre più la sua malinconia.
La luce ha il privilegio di dissipare il malessere cagionato dalle visioni notturne.
Smarra, offuscato, se ne fugge agitando le ali membranose, allorchè il giorno lancia, fra mezzo le cortine, le sue frecce d'oro nella camera.
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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano 1910
pagine 113 |
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Vincenza Alicia Paolo Goya Alicia Napoletano
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