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      Allungando il passo lungo le case per sottrarsi all'attenzione pubblica, Paolo arrivò a una bottega di librajo fuori sulla via: egli vi si fermò; rimosse ed aprì qualche libro tanto per darsi un contegno: egli volgeva così il dorso ai passeggieri ed evitava ogni occasione d'insulto. Gli era venuto in testa, per un momento, di caricare quelle canaglie a colpi di bastone; ma il vago terror superstizioso che cominciava a impadronirsi di lui, lo rattenne. Egli si ricordò d'una volta che avendo battuto un cocchiere insolente con un leggiero frustino, lo aveva colto alla tempia e ucciso sul colpo, omicidio involontario di cui non si era consolato mai. Dopo aver presi e riposti parecchi volumi, la mano gli cadde a caso sul Trattato della jettatura di Niccolò Valetta: questo titolo scintillò ai suoi occhi in caratteri di fiamme e il libro gli parve posto là dalla mano della fatalità; gettò al librajo, che lo guardava con un'aria stupida, facendo salterellare due o tre corna nere miste ai gingilli della sua catena, il prezzo del volume e corse all'albergo per chiudersi nella sua camera e darsi a questa lettura che doveva rischiarare e fissare i dubbii da cui era posseduto da che viveva in Napoli.
      Il libro di Valetta è così diffuso in Napoli come i Segreti del grande Alberto, l'Etteila e la Chiave dei sogni lo sono a Parigi.
      Valetta definisce la jettatura, insegna come la si può riconoscere, con quali mezzi uno se ne può preservare; egli divide gli jettatori in più classi secondo il loro grado di scelleraggine ed agita tutte le questioni che si rannodano a questo grave soggetto.


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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano
1910 pagine 113

   





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