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      Un becco di gas allungò la lingua azzurrina e bianca e toccò la stoffa aerea. In un istante la fiamma circonfuse la giovane, che danzò qualche secondo come un fuoco fatuo in mezzo ad un rosso splendore e poi si gettò verso le quinte, perduta, pazza dal terrore, divorata viva dalle sue vesti incendiate.
      Paolo era stato dolorosissimamente colpito di questa disgrazia, di cui parlarono tutti i giornali d'allora dove, volendo, si potrebbe trovare il nome della vittima. Ma il suo dolore era privo di rimorsi. Egli non si attribuiva parte alcuna nell'accidente ch'ei più di tutti deplorava.
      Ora, era persuaso che la sua ostinatezza a seguirla collo sguardo non era stata estranea alla morte della cara creatura. Egli si considerava come l'assassino di lei; egli inorridiva di sè stesso ed avrebbe voluto non esser mai nato.
      A questo prostramento succedette una violenta reazione; si mise a ridere d'un riso nervoso, scagliò lontano il libro del Valetta e gridò: - Oh, in verità, io divento stupido o matto! Si direbbe che il sole di Napoli m'ha ferito il cervello. Che direbbero i miei amici del club, se sapessero che io ho agito seriamente nella mia coscienza la bella questione; sapere, se sono o no, jettatore!
      Paddy, a questo punto, battè discretamente alla porta.
      Paolo aprì ed il groom, formalista nel proprio servizio, gli presentò sul cuojo verniciato del suo berretto, scusandosi di non avere un piatto d'argento, una lettera di miss Alicia.
      D'Aspromonte ruppe la busta e lesse:
     
      - «Mi sfuggite dunque, Paolo?


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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano
1910 pagine 113

   





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