Ella non provava precisamente alcun dolore, ma si sentiva affranta; era piuttosto una difficoltà di vivere che una malattia; ed ella sarebbe stata imbarazzatissima se avesse dovuto accusarne i sintomi ad un medico. Ella chiese uno specchio a Vincenza, poichè una donna s'inquieta piuttosto dell'alterazione che la sofferenza può apportare alla propria bellezza, della sofferenza stessa. Ella era d'una pallidezza estrema: soltanto due piccole macchie, simili a due foglie di rosa del Bengala, cadute in una coppa di latte, nuotavano sulla sua pallidezzaI suoi occhi brillavano d'uno splendore insolito, accesi dalle ultime fiamme della febbre: ma il rosso delle labbra era meno vivo, e per farle tornar colorite, ella se le morse coi piccoli denti d'avorio.
S'alzò, s'avvolse in una veste da camera di chachemire bianco, cinse il capo in una sciarpa di velo; perchè, sebbene facesse caldo, ella era sempre un po' freddolosa, e fu sulla terrazza all'ora consueta, per non destare la sollecitudine sempre agli agguati del commodoro. Fece colazione mangiando a fior di labbra, sebbene non avesse appetito affatto; ma il menomo indizio di malessere sarebbe stato da sir Ward attribuito all'influenza di Paolo, e questo voleva la giovane evitar sovratutto.
Poi, colla scusa che la scintillante luce del giorno la stancava, essa si ritirò nella sua camera, non senza aver ripetuto più volte al commodoro sospettoso, che stava magnificamente.
- Magnificamente? ne dubito, disse fra sè il commodoro, appena sua nipote fu uscita.
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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano 1910
pagine 113 |
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Vincenza Bengala Ward Paolo
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