E Paolo d'Aspromonte scoppiò a ridere d'un riso stridente, spinse una porta e disparve.
XII
Alicia stava ora in una sala bassa della casa, le cui muraglie erano ornate di paesaggi a fresco. Una tavola coperta da un tappeto turco, sulla quale giacevano le poesie di Coleridge, di Shelley, di Tennyson e di Longfellow; uno specchio a cornice antica e qualche seggiola di canne componevano tutto l'ammobiliamento del luogo; alcune stuoje di giunco della China istoriate di pagode, di rocce, di salici e di dragoni lasciavano passare una dolce luce: un ramo d'arancio carico di fiori penetrava familiarmente nella camera e si stendeva come una ghirlanda sul capo d'Alicia, scuotendo su lei la sua neve profumata.
La giovane, tuttor sofferente, era sdrajata su uno stretto canapè presso la finestra; due o tre cuscini la tenevano sollevata a mezzo; la coperta veneziana avvolgeva castamente i suoi piedi; così accomodata essa poteva ricever Paolo senza infrangere le leggi del pudore Inglese.
Il libro cominciato era sdrucciolato dalla mano distratta d'Alicia; le sue pupille nuotavano vagamente sotto le lunghe ciglia e sembravano guardare al di là del mondo; essa provava quella stanchezza quasi voluttuosa che segue gli accessi di febbre; e unica sua occupazione era il morsecchiare i fiori d'arancio ch'ella raccoglieva di sulla coperta e il cui amaro profumo le piaceva tanto.
Essa pensava a Paolo e si chiedeva se veramente sarebbe vissuta abbastanza per diventar sua moglie: non ch'ella prestasse fede all'influenza della jettatura, ma si sentiva oppressa da presentimenti funebri; la notte stessa, aveva fatto un sogno la cui impressione non s'era dissipata allo svegliarsi.
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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano 1910
pagine 113 |
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