Il fidanzato d'Alicia aprì la finestra, accese i carboni, vi ficcò la lama d'un pugnale ed attese che il ferro divenisse rovente.
La lama, fine, attraverso le brage incandescenti, arrivò ben presto al rosso bianco.
Paolo, allora, come per prender congedo da sè stesso, s'avvicinò ad un grande specchio posto sul camino e rischiarato da un candelliere a parecchi lumi; egli guardò quello spettro di sè stesso, quell'involucro del suo pensiero che non doveva più vedere, con una malinconica curiosità:
- Addio, fantasma pallido che trascino da anni attraverso la vita, forma sbagliata e sinistra in cui la bellezza si mischia all'orrore; argilla segnata in fronte d'un suggello fatale; maschera convulsa di un'anima dolce e tenera! Tu stai per sparire da me per sempre: vivente, io ti getto nelle tenebre eterne e ben presto t'avrò dimenticato come il sogno d'una notte procellosa. Orsù, all'opera, vittima e carnefice!
E allontanatosi dallo specchio, sedette sul letto. Avvivò col soffio i carboni del braciere posto vicino ed afferrò pel manico la lama da cui uscivano scoppiettando delle bianche scintille.
In questo momento supremo, per quanto risoluto fosse, Paolo barcollò: un freddo sudore gli bagnò le tempie, ma ben presto dominò questa esitazione puramente fisica... ed avvicinò agli occhi il ferro ardente.
Un dolore acuto, lacerante, intollerabile fu per strappargli un grido: gli parve che due getti di piombo fuso gli penetrassero nelle pupille fino in fondo al cranio: e si lasciò sfuggire il pugnale che cadde per terra e vi fece una macchia bruna.
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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano 1910
pagine 113 |
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Alicia Paolo
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