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      Un odore acre di etere, un'esalazione d'aromi, un profumo di cera bruciata, tutti i vaghi odori delle camere mortuarie colpirono l'odorato del cieco tremante di spavento: un'idea crudelissima gli si presentò allo spirito ed egli entrò nella camera.
      Fatti appena pochi passi, urtò in qualche cosa che cadde con rumore; Paolo s'abbassò e riconobbe al tasto ch'era un candeliere di metallo che aveva un lungo cero.
      Smarrito, egli seguitò la sua via fra l'oscurità. Gli sembrò udire una voce che mormorava delle preghiere; fece un passo ancora e le sue mani incontrarono la sponda d'un letto: si chinò, e le sue dita tremanti sfiorarono prima un corpo immobile e diritto sotto una fine tunica, poi una corona di rose e un volto puro e freddo come il marmo.
      Era Alicia distesa sul letto funebre.
      - Morta! gridò Paolo con un rantolo soffocato; morta e sono io che l'ho uccisa!
      Il commodoro, agghiacciato d'orrore, aveva veduto questo fantasma dagli occhi spenti entrar barcollando, errare a caso, e urtare al letto di morte di sua nipote: egli aveva capito tutto. La grandezza di quel sacrificio inutile fece scintillare due lagrime negli occhi del vecchio, che, in verità, credeva di non poter più piangere.
      Paolo si precipitò in ginocchio a piè del letto e copri di baci la mano ghiacciata di Alicia; singhiozzi convulsi scuotevano il suo corpo. Il suo silenzio intenerì la stessa feroce Vincenza, silenziosa e cupa contro il muro, e che vegliava l'ultimo sonno della sua padroncina.
      Terminati questi addii muti, Paolo si alzò e si diresse verso la porta, rigido, tutto d'un pezzo; come un automa mosso da suste: i suoi occhi aperti e fissi, dalle pupille atone, avevano un'espressione sopranaturale: sebben ciechi, si sarebbe detto che vedessero.


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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano
1910 pagine 113

   





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