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      Col convenire che gli uomini saggi e gli eroi, i quali erano o vissuti o morti in servigio della patria, s'innalzassero a un grado di dignità e d'immortalità, si confessava universalmente ch'essi meritavano di esser almeno venerati, se non adorati, da tutto il genere umano. Le Divinità di mille piccoli boschi e di mille ruscelli possedevano, in pace, la loro locale e respettiva influenza; nè il Romano, che procurava di placare lo sdegno del Tevere, poteva derider l'Egiziano, che presentava le sue offerte al benefico Genio del Nilo. I visibili poteri della natura, i pianeti e gli elementi erano gli stessi per tutto l'universo. I rettori invisibili del mondo morale non potevan esser rappresentati che da finzioni ed allegorie gettate in una medesima stampa. Ogni virtù, ed anche ogni vizio ottenne la sua divina rappresentanza; ogni arte e professione ebbe il suo protettore, i cui attributi, nei secoli e nei paesi più distanti, erano uniformemente ricavati dal carattere dei loro particolari adoratori. Una repubblica di Dei, così opposti d'interessi e di tempre, richiedeva in qualunque sistema la mano moderatrice di un magistrato supremo, il quale col progredire della scienza e dell'adulazione fu a poco a poco investito delle sublimi perfezioni di Monarca Onnipotente, e di Creatore Sovrano(113). Così moderato era lo spirito dell'Antichità, che le nazioni eran meno attente alle differenze, che alle somiglianze dei loro culti religiosi. Il Greco, il Romano ed il Barbaro, nell'incontrarsi avanti i loro respettivi altari, facilmente si persuadevano, che sotto nomi diversi e con diverse ceremonie essi adoravano le medesime Divinità. L'elegante mitologia di Omero dava una bella e quasi regolar forma al politeismo del Mondo antico(114).


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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