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      Le vinte nazioni, raccolte in un gran popolo, ponevano giù la speranza, anzi il desiderio di riacquistare la loro indipendenza, e consideravano appena la loro esistenza come distinta da quella di Roma. L'autorità, già assodata degl'Imperatori, si stendeva senza fatica per la vasta estensione dei loro dominj, ed era esercitata con la stessa facilità sulle rive del Tamigi o del Nilo, come su quelle del Tevere. Le legioni erano destinate a servire contro i pubblici nemici, ed il magistrato civile rare volte implorava l'aiuto della forza militare(172). In questo stato di general sicurezza il Principe ed il popolo impiegavano l'ozio e l'opulenza loro ad ingrandire e adornare l'Impero romano.
      Quanti fra gl'innumerabili monumenti di architettura costruiti dai Romani, sono sfuggiti alla notizia della storia, e quanti pochi han resistito alle distruzioni del tempo e de' Barbari! E pure le sole maestose rovine che si vedono tuttavia sparse per l'Italia e per le province, servirebbero a provare che quei luoghi furono una volta la sede di un Impero colto e possente. La loro sola grandezza, o la loro bellezza meriterebbe la nostra attenzione; ma esse divengono anche più interessanti per due circostanze importanti, le quali uniscono la dilettevole storia delle arti con la storia più utile degli umani costumi. Molte di queste fabbriche erano erette a spese private, e destinate quasi tutte alla pubblica utilità.
      È naturale il supporre che la maggior parte e la più considerabile dei romani edifizj fosse innalzata dagli Imperatori, che potevano illimitatamente disporre di tanti uomini e di tanti tesori.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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