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      Nel tempo stesso ch'egli obbligava gli indegni favoriti del tiranno a restituire parte delle loro mal acquistate ricchezze, soddisfaceva i legittimi creditori dello Stato, e pagava le da gran tempo arretrate pensioni a coloro, che per giusti meriti le aveano ottenute. Annullò le gravose restrizioni, che erano state fatte sopra il commercio, e concesse tutte le terre incolte dell'Italia e delle province a coloro che vollero migliorarle, esentandole per dieci anni da qualunque imposizione(332).
      Una condotta così uniforme avea già assicurata a Pertinace la ricompensa più nobile per un Sovrano, la stima e l'amor del suo popolo. Quelli che si rammentavano le virtù di Marco Aurelio, con gran piacere contemplavano nel nuovo loro Imperatore i tratti di quel luminoso originale; e si lusingavano di godere lungamente la benigna influenza del suo governo. Un frettoloso zelo di riformare lo Stato corrotto, non secondato da quella prudenza, che gli anni e l'esperienza avrebbero dovuto dettare a Pertinace, divenne funesto a lui ed alla patria. La sua inopportuna virtù sollevò contro di esso quella turba servile, che trovava un interesse privato nei pubblici disordini, e preferiva il favor di un tiranno alla inesorabile egualità delle leggi(333).
      In mezzo alla comune letizia, il torvo e rabbioso aspetto dei Pretoriani disvelava il loro interno mal animo. Si erano a contraggenio sottomessi a Pertinace; temevano essi il rigore dell'antica disciplina, ch'egli si disponeva a ristabilire, e sospiravano la licenza del regno passato.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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