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      Le legioni della frontiera orientale si dichiararono per lui; le ricche, ma inermi province dalle frontiere dell'Etiopia(361) fino all'Adriatico, con piacere si sottomisero a lui; ed i Re, che erano di là dal Tigri e dall'Eufrate, congratulandosi della sua elezione, gli offerirono omaggio e soccorso. Negro non avea l'animo abbastanza grande per sostenere questa subita rivoluzione della fortuna; si lusingò che il suo avvenimento non sarebbe disturbato da alcun rivale, nè macchiato di sangue civile; ed occupato nella vana pompa del trionfo, trascurò i mezzi di assicurarsi della vittoria. Invece di entrar in trattato coi potenti eserciti dell'Occidente, che soli potevano o decidere o bilanciare almeno la gran contesa; invece di marciare immediatamente verso Roma e l'Italia, dove ansiosamonte si aspettava la sua presenza(362), Negro perdè nei piaceri di Antiochia quei preziosi momenti, dei quali seppe diligentemente profittare la decisiva attività di Severo(363).
      La provincia della Pannonia e Dalmazia, che si stendeva dal Danubio all'Adriatico, fu una delle ultime e più faticose conquiste dei Romani. Dugentomila di quei Barbari, venuti una volta in campo a difendere la libertà nazionale, spaventarono il vecchio Augusto, ed esercitarono la vigilante prudenza di Tiberio, che li combattè alla testa di tutte le forze riunite dell'Imperatore(364). I Pannonj finalmente cederono alle armi ed alla disciplina dei Romani. Ma però la fresca memoria della perduta libertà, la vicinanza ed anche il mescuglio delle tribù indipendenti, e forse il clima stesso, che (come è stato osservato) produce gli uomini di statura gigantesca, ma di poco intelletto(365), tutto in somma contribuì a conservar qualche avanzo della loro ferocia nativa, e sotto la mansueta sembianza di provinciali romani si scorgevano sempre i fieri lineamenti della nazione.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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