In cambio di disperdere immediatamente nelle diverse province la numerosa armata, che l'ultimo Imperatore avea radunata in Oriente, Macrino la lasciò raccolta nella Siria per l'intero inverno, che seguì il suo avvenimento. In mezzo all'ozioso lusso dei loro quartieri conobbero le truppe la loro forza ed il lor numero; si comunicarono i loro lamenti, e rivolsero in mente i vantaggi di una nuova rivoluzione. I veterani, invece di essere lusingati dalla vantaggiosa distinzione, riguardarono quel primo passo come sicuro presagio dell'intera riforma, che l'Imperatore meditava. Le reclute entravano con ritrosia e ripugnanza in un servizio, le cui fatiche erano state accresciute, e le ricompense diminuite da un Sovrano avaro e non guerriero. Le mormorazioni dell'armata finirono impunemente in sedizioni clamori, ed i particolari ammutinamenti indicavano uno spirito di avversione e disgusto, che aspettava il più leggiero pretesto per iscoppiar da per tutto in una generale ribellione. Presto se ne presentò l'occasione ad animi così disposti.
L'imperatrice Giulia avea provate tutte le vicende della fortuna. Da un'umile condizione era stata innalzata ad un alto posto, per gustarne soltanto la superiore amarezza. Fu condannata a gemere sopra la morte di uno dei figli, e sopra la vita dell'altro. Il crudo fato di Caracalla (benchè da gran tempo la prudenza lo avesse fatto a lei prevedere) risvegliò nel suo animo tutti i sentimenti di una madre e di una Imperatrice. Non ostante i rispettosi riguardi, che l'usurpatore avea per la vedova di Severo, fu cosa ben dura per una Sovrana il discendere alla condizione di suddita; e con volontaria morte mise prontamente fine alla angustiosa ed umiliante sua dipendenza(455). Giulia Mesa, di lei sorella ebbe ordine di lasciare la Corte ed Antiochia.
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