Era incerta ancor la vittoria, e forse Macrino l'avrebbe riportata, se non avesse tradita la propria causa con una fuga vile e precipitosa. La sua codardia servì solamente a prolungargli la vita per pochi giorni, e ad imprimere sopra le sue disgrazie la meritata ignominia. È inutile aggiungere, che il suo figlio Diadumeniano fu involto nella stessa rovina. Appena gli ostinati Pretoriani si avvidero, che combattevano per un Principe, il quale vilmente gli avea abbandonati, si renderono al vincitore: i due emuli eserciti romani, mescolando lagrime di tenerezza e di gioia, si riunirono sotto le insegne dell'immaginario figlio di Caracalla, e l'Oriente riconobbe con piacere il primo Imperatore che nato fosse nell'Asia.
Macrino si era degnato di scrivere al Senato avvisandolo delle piccole turbolenze cagionate nella Siria da un impostore; e venne fatto immediatamente un decreto, che dichiarava il ribelle e la sua famiglia pubblici nemici; colla promessa del perdono, per altro, a qualunque dei delusi aderenti, che lo meritasse coll'immediato ritorno al dovere. Nei venti giorni che passarono da questa dichiarazione alla vittoria di Antonino (che fu in sì breve intervallo deciso il destino dell'Impero romano) la Capitale e le province, specialmente le orientali, furono tra la speranza e il timore agitate da tumulti, e macchiate di civil sangue inutilmente versato, poichè qualunque dei due rivali vincesse nella Siria, l'Impero dovea in esso avere un padrone. Le lettere studiate, colle quali il giovane vincitore annunziò all'obbediente Senato la sua vittoria, erano ripiene di proteste di virtù, e di moderazione.
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