Questo popolo generoso (sì grande è talvolta il nobile entusiasmo della libertà) si sottometteva con piacere alle più eccessive e volontarie gravezze, nella giusta fiducia di presto godere la ricca ricompensa delle sue fatiche. Non andarono deluse le sue speranze. In pochi anni le ricchezze di Siracusa, di Cartagine, della Macedonia e dell'Asia furono portate a Roma in trionfo. I soli tesori di Perseo ascendevano a quattro milioni di zecchini, ed il popolo romano, sovrano di tante nazioni, fu per sempre liberato dal peso delle tasse(492). La rendita delle province, che sempre andava aumentando, servì per supplire alle spese ordinarie della guerra e del Governo, e la superflua massa dell'oro e dell'argento fu depositata nel tempio di Saturno, e riserbata per qualunque improvvisa necessità dello Stato(493).
La storia non ha forse mai sofferta una perdita più grande, o più irreparabile, che nello smarrimento di quel curioso registro lasciato da Augusto al Senato, nel quale questo Principe sperimentato avea fatto un così esatto bilancio dell'entrate e delle spese dell'Impero romano(494). Privi di questo chiaro ed esteso ragguaglio, siamo ridotti a raccogliere pochi imperfetti indizj da quegli antichi, che accidentalmente hanno interrotta la parte più splendida della loro narrazione per dar luogo a più utili considerazioni. Sappiamo che le conquiste di Pompeo fecero ascendere i tributi dell'Asia da 50 a 135 milioni di dramme, ossia 9 milioni di zecchini incirca(495). Sotto l'ultimo ed il più indolente dei Tolomei, l'Egitto rendeva 12500 talenti, che equivalgono a più di 15 milioni di zecchini; ma fu questa rendita di poi considerabilmente aumentata dalla più esatta economia dei Romani, e dal cresciuto commercio dell'Etiopia e dell'India(496).
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