I due colleghi erano ambidue stati Consoli (ma Balbino due volte); ambidue erano stati nominati tra i venti Luogotenenti del Senato, ed avendo uno sessanta, l'altro settantaquattro anni(553), erano giunti ambidue alla piena maturità degli anni e dell'esperienza.
Dopo che il Senato ebbe conferito a Massimo ed a Balbino una egual porzione della potestà consolare e tribunizia, il titolo di Padri della patria, ed il congiunto uffizio di supremo Pontefice, salirono essi al Campidoglio per rendere grazie agli Dei protettori di Roma(554). I riti solenni del sacrifizio furono disturbati da una sedizione del popolo. La sfrenata moltitudine non amava il rigido Massimo, e poco temeva il mite ed umano Balbino. Crescendo in numero, essa circondò il Tempio di Giove, sostenne con ostinati clamori il suo naturale diritto di consentire all'elezione del proprio Sovrano, e richiese con una moderazione apparente, che ai due Imperatori scelti dal Senato si aggiungesse un terzo della famiglia dei Gordiani, come giusta ricompensa di gratitudine per quei Principi, che aveano sacrificate le loro vite per la Repubblica. Massimo e Balbino, alla testa dei Pretoriani e dei giovani cavalieri, tentarono di farsi strada a traverso la sediziosa moltitudine. Ma questa, armata di bastoni e di pietre, li rispinse nel Campidoglio. È prudenza il cedere, quando la contesa (qualunque essere ne possa l'esito) dee tornar fatale ad ambe le parti. Un ragazzo di soli tredici anni, pronipote del vecchio Gordiano e nipote del giovane, fu presentato al popolo, vestito degli ornamenti e del titolo di Cesare.
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