Gli ultimi trecento anni erano passati in un'apparente prosperitą ed in una decadenza interna. Questa nazione di soldati, di magistrati, e di legislatori, che componeva le trentacinque tribł del Popolo romano, si disciolse nella massa generale degli uomini, e rimase confusa tra tanti milioni di vili provinciali, che avean ricevuto il nome di Romani, senza adottarne lo spirito. Un esercito mercenario, levato tra i sudditi e tra i Barbari delle frontiere, fu l'unica classe d'uomini, che conservasse la sua indipendenza, e ne abusasse ad un tempo. Con tumultuarie elezioni furono da loro innalzati al trono di Roma un Siro, un Goto, ed un Arabo, e rivestiti di un potere dispotico sopra le conquiste e la patria degli Scipioni.
L'Impero romano si stendeva tuttavia dall'Oceano occidentale fino al Tigri, e dal monte Atlante fino al Reno e al Danubio. Filippo sembrava all'occhio poco penetrante del volgo un Monarca non meno potente di Adriano e di Augusto. La forma era tuttora la stessa, ma la robustezza e la forza animatrice mancavano. L'industria del popolo era scoraggiata ed infiacchita da una lunga serie di oppressioni. La disciplina delle legioni, che sola, dopo l'estinzione di ogni altra virtł, avea sostenuta la grandezza dello Stato, era corrotta dall'ambizione, o rilassata dalla debolezza degl'Imperatori. La forza delle frontiere, che prima consisteva nelle armi, pił che nelle fortificazioni, si era indebolita insensibilmente; e le pił belle province giacevano esposte alla rapacitą o all'ambizione dei Barbari, che presto si accorsero della decadenza dell'Impero di Roma.
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