I. Durante la lunga servitù della Persia sotto il giogo dei Macedoni e dei Parti, le nazioni dell'Europa e dell'Asia avevano scambievolmente adottate e corrotte le superstizioni l'una dell'altra. Gli Arsacidi osservavano, è vero, il culto dei Magi; ma lo disonoravano macchiandolo con vario mescuglio di straniera idolatria. La memoria di Zoroastro, antico profeta e filosofo dei Persiani(592), era sempre venerata nell'Oriente; ma il linguaggio antiquato e misterioso nel quale era composto lo Zendavesta(593), apriva un campo di controversie a settanta differenti Sette, che variamente spiegavano le dottrine fondamentali della loro religione, ed erano tutte egualmente derise da una moltitudine di infedeli, i quali rigettavano la divina missione ed i miracoli del Profeta. Il pio Artaserse chiamò i Magi da tutte le parti del suo Impero per sopprimere gl'idolatri, unire gli scismatici, e confutare gl'increduli con l'infallibile decisione di un concilio generale. Questi preti che sì lungamente avean gemuto nel disprezzo e nell'oscurità, obbedirono al grato invito; ed in numero di quasi ottantamila comparvero tutti nel giorno prefisso. Ma siccome le discussioni di una assemblea così tumultuosa non avrebbero potuto essere regolate dalla autorità della ragione o dirette dall'arte della politica, il Sinodo persiano fu con successive operazioni ridotto a quarantamila, a quattromila, a quattrocento, a quaranta, e finalmente a sette magi i più rispettabili per la loro scienza e pietà. Erdavirabo, uno di essi, prelato giovane, e tenuto per santo, ricevè dalle mani dei suoi fratelli tre tazze di vino soporifero, e bevutolo, subito cadde in un sonno lungo e profondo.
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