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      In quel giorno gli agricoltori erano ammessi senza distinzione alla tavola del Re e dei Satrapi. Il monarca riceveva le loro suppliche, esaminava le loro querele, e conversava con essi con la maggiore famigliarità. "Dalle vostre fatiche" soleva egli dire (e dirlo con verità se non con sincerità), "noi riceviamo la nostra sussistenza; voi dovete la vostra quiete alla vigilanza nostra; giacchè adunque noi siamo scambievolmente necessarj l'uno all'altro, viviamo insieme come fratelli in concordia ed amore(601)". Una tal festa in un opulento e dispotico Impero dovea, per vero dire, degenerare in una rappresentanza teatrale; ma era almeno una commedia ben degna della presenza sovrana, e che potea talvolta imprimere nella mente di un Principe giovane una lezione salutevole.
      Se avesse Zoroastro in tutte le sue istituzioni sostenuto invariabilmente questo sublime carattere, il suo nome ben si starebbe accanto a quelli di Numa e di Confucio, ed il suo sistema meriterebbe giustamente tutti gli applausi, che alcuni tra i nostri teologi, e tra i filosofi ancora si sono compiaciuti di dargli. Ma in quella mista composizione, dettata dalla ragione e dalla passione, dall'entusiasmo e dai motivi personali, alcune verità utili e sublimi sono degradate da un mescuglio della più vile e pericolosa superstizione. I Magi, o sia l'ordine sacerdotale, erano numerosissimi, giacchè (come abbiam di sopra osservato) ottantamila se ne adunarono in un concilio generale. Le loro forze si accrebbero con la disciplina.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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