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      Negli oziosi intervalli di pace, quei Barbari s'abbandonavano con eccesso al giuoco ed al bere: e queste due occupazioni, la prima infiammando le loro passioni, l'altra estinguendo la loro ragione, egualmente li liberavano dalla pena di pensare. Si vantavano di passare gl'interi giorni e le notti alla mensa; ed il sangue degli amici e dei parenti spesso macchiava le numerose loro e intemperanti assemblee(674). Pagavano i loro debiti di onore (giacchè in questo aspetto ci hanno trasmesso l'uso di soddisfare quelli del giuoco) con la più romanzesca esattezza(675). Il disperato giuocatore, che aveva arrischiato la sua vita e la sua libertà ad un ultimo tiro di dado, ubbidiva con pazienza alla decisione della fortuna, e soffriva di essere legato, castigato, e venduto schiavo in luoghi remoti dal suo più debole, ma più fortunato avversario.
      La birra gagliarda, liquore estratto con pochissimo artifizio dal grano, o dall'orzo, e corrotto (secondo la forte espressione di Tacito) ad una certa somiglianza col vino, bastava alle grossolane dissolutezze dei Germani. Ma quelli che avevano gustati i preziosi vini dell'Italia, e poi delle Gallie, sospiravano per quella più deliziosa sorgente di ubbriachezza. Non tentarono per altro (come dopo è stato eseguito con tanto successo) di far germogliare le viti sulle rive del Danubio e del Reno; nè procurarono di acquistare con l'industria i materiali di un vantaggioso commercio. Il procacciarsi con la fatica ciò che rapir si poteva con le armi, si riputava cosa indegna di uno spirito Germano(676). L'inestinguibile sete di liquori forti spesso costrinse quei Barbari ad invadere quelle province, alle quali la natura o l'arte aveva accordati quei tanto invidiati doni.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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