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      Ma questa impresa, per quanto lustro gettar potesse sul decadente secolo di Atene, servì piuttosto ad irritare, che a sottomettere l'intrepido coraggio de' settentrionali(855) invasori. Un generale incendio si accese nel tempo stesso in ogni distretto della Grecia. Tebe ed Argo, Corinto e Sparta, che avean fatte altre volte sì memorabili guerre fra loro, non poterono allora mettere in campo un esercito, o difendere neppure le rovinate loro fortificazioni. Il furor della guerra, e per terra e per mare, si stese dalla punta orientale di Sunio fino alla costa occidentale dell'Epiro. Si erano già i Goti innoltrati alla vista dell'Italia, quando l'avvicinamento di un così imminente pericolo risvegliò l'indolente Gallieno dal voluttuoso suo sonno. Comparve armato l'Imperatore; e sembra che la sua presenza reprimesse l'ardore, e dividesse la forza dei nemici. Naulobato, un capo degli Eruli, accettò un'onorevole capitolazione, entrò con un numeroso corpo de' suoi concittadini al servizio di Roma, e fu rivestito cogli ornamenti della Consolar dignità, non mai per l'avanti profanati dalle mani di un Barbaro(856). Un gran numero di Goti, disgustati dai pericoli e dai travagli di un tedioso viaggio, fecero irruzione nella Mesia con disegno di aprirsi a forza il passo sul Danubio a' loro stabilimenti nell'Ucrania. L'ardito tentativo sarebbe stato seguito da una inevitabile distruzione, se la dissensione dei Generali romani non avesse risparmiato i Barbari a spese della causa comune(857). Il picciol resto di quell'esercito distruggitore ritornò a bordo de' suoi vascelli; e rifacendo la strada per l'Ellesponto e pel Bosforo, devastò in passando i lidi di Troia, la cui fama resa immortale da Omero sopravviverà probabilmente alla memoria delle conquiste dei Goti.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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